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Massimo Gramellini 14/07/06

Un processo celebratosi secondo le regole del diritto sportivo sta per decidere in quale serie giocheranno alcune squadre di calcio piuttosto note. I dirigenti interessati aspettano la sentenza con agitazione comprensibile, ma in rispettoso silenzio. Tutti tranne uno. Il solito. Quello che riconta le schede elettorali ormai da qualche mese e che ancor prima di conoscere il destino del suo Milan mette le mani avanti: «Non accetteremmo una decisione che penalizzasse i tifosi». E quindi? Farà invadere la Federcalcio da Boldi e da Bondi? Legherà Galliani a una traversa di San Siro? Il dialetto piemontese ha un’espressione splendida per definire un atteggiamento del genere. «Cissé la maraja», traducibile con: aizzare i ragazzacci. In senso metaforico, fomentare i bassi istinti che si agitano dentro ciascuno di noi. A ben pensarci, è ciò che quest’uomo ha fatto per anni: sdoganare i pruriti anarcoidi del cittadino medio e dar loro la legittimità di autentiche rivendicazioni. Avrebbe fallito, non si fosse rivolto a un pubblico che non aspettava altro. Quelli che quando il figlio viene bocciato si arrabbiano con il professore invece che col somaro. Che se il vigile gli dà una multa per divieto di sosta, è perché ce l’ha con loro e comunque la colpa è del Comune che non fa i parcheggi.

Quelli che se un altro cantante regista attore valletta impiegato muratore idraulico vince un premio oppure ottiene un aumento, dietro c’è sempre qualche complotto e una volontà precisa di discriminazione nei loro confronti. Quelli, insomma, che non sanno perdere e, rifiutandosi di assumersi le responsabilità dei propri errori, continuano a commetterne. Il bello è che lui, il pifferaio capo, non è affatto come loro. Sa imparare dagli sbagli e per questo è ancora sulla breccia a settant’anni. Ma per miopia di bottega preferisce dare cattivi consigli che buoni esempi.

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