la notizia degradata….

scritto da il 15 dicembre 2006

E pretendono ancora di scioperare per salvaguardare la loro dignità? Se i medici debbono sottostare al giuramento di Ippocrate, questo potrebbe essere una bozza di giuramento per i giornalisti: Sandro Curzi su Il Manifesto. Ho cambiato l’ordine del titolo perchè penso che ci sia una notizia sola e mille modi di raccontarla. Naturalmente è impossibile raggiungere “la notizia”, non esiste una realtà unica e oggettiva, ma il rispettabile soggettivismo nel riportare la notizia si puo’ avvicinare o allontanare da questa realtà imprendibile. Avvicinare o allontanare. Allontanare fino a nemmeno rammentarla! Sarà quindi la notizia ad essere degradata a posteriori.

O forse l’unica cosa reale è proprio la notizia, anche slegata dalla realtà?!….

ps: ma perchè Curzi non impone di più le sue idee in Rai? Forse il canone appena aumentato sarebbe meno indigesto…

La strage di Erba e il degrado della notizia di Alessandro Curzi
Ciò che si è letto ieri sui giornali a proposito della «strage di Erba» – e che naturalmente si è visto e ascoltato nei tg e nei giornali radio – credo che imponga a tutti noi, sul piano politico ma anche su quello squisitamente professionale, una riflessione sulle condizioni in cui è stata ridotta e svilita la professione giornalistica in Italia. Certo, sono molti gli episodi, negli ultimi anni, che svelano il degrado e la progressiva omologazione dell’informazione nel nostro paese. Anzi, di un vero e proprio sistema della comunicazione caratterizzato al vertice da concentrazioni proprietarie e da interessi prettamente finanziario-affaristici, e alla base da un ceto giornalistico reso subalterno alle leggi delle «innovazioni tecnologiche» e schiacciato dalla prepotenza editoriale su un ruolo standardizzato, ripetitivo e, per le nuove leve, malpagato. Un ceto sempre più frustrato, deprivato di capacità di iniziativa e, purtroppo, anche di memoria e di coraggio civile. Ma ciò che questo ceto, questi giornali, questi media sono stati capaci di fare ieri sull’uccisione di quattro persone nel comasco, se non supera ogni limite, non può non scandalizzare e indignare. E convincerci che è l’ora di darsi una regolata. Si è trattato di qualcosa di più dell’ennesimo episodio di un fatto di cronaca nera strumentalizzato dalla stampa di destra per gridare alla «caccia al tunisino» e per criminalizzare gli immigrati. In questo caso, fior di grandi giornali, solitamente accorti e cauti, anche in forza delle risorse professionali a disposizione, sembrano essersi accontentati della semplice «indiscrezione» di un carabiniere. Il Corriere della Sera ha sparato in prima pagina, senza ombra di dubbi o di scrupoli: «Strage in famiglia: ‘Era fuori per indulto’». E a pagina nove, per togliere invece ogni dubbio al lettore: «Stermina la famiglia, era libero per l’indulto», specificando nel catenaccio trattarsi di un «marocchino accusato di aver sgozzato la convivente, il figlio di 2 anni e due donne», mentre il sospetto era in realtà tunisino, come riferiscono tutti gli altri giornali, e non era convivente ma regolarmente sposato in municipio (anche queste imprecisioni, marocchino/tunisino, convivente/sposato in municipio, tipiche una volta dei giornali minori e di destra). Anche la Repubblica, che pure in prima pagina si limitava a riferire che «si cerca il convivente, un tunisino scarcerato con l’indulto», nell’interno sparava due paginate con due titolacci inequivocabili: «Uccide e brucia tre donne e il figlio. L’assassino era libero per l’indulto» e «Sapevamo che era violento ma lei per amore lo difendeva».
Eppure, bastava forse chiedere ad un vicino di casa o al suocero dell’«assassino» per farsi venire dei dubbi sull’informazione affrettata di un carabiniere. Tanto è vero che proprio il suocero, a un certo punto, vincendo il dolore immenso per una strage che gli aveva tolto, appena da qualche ora e in quella maniera barbara, tutti i suoi cari, ha dovuto prendere l’iniziativa di scagionare il genero, che sapeva peraltro essere a Tunisi. Ma sarebbe bastato, ancor prima, un po’ di vecchio fiuto da cronista, un po’ meno fretta, un po’ meno approssimazione, un po’ meno – si può dire? – cinismo.
Ma non voglio dare lezioni né pagelle. Mi limito a dire che, pur nella disastrosa situazione in cui sono costretti a operare in Italia i media, era effettivamente possibile stare più attenti e fare, comunque con una qualche dignità, la nostra professione. Non in teoria. Ma in pratica. Come ha fatto ad esempio Avvenire, in questo caso veramente esemplare: notizia in prima pagina, occhiello, titolo e due sommarietti ineccepibili. E giustamente, a chiusura del secondo sommario: «Perse le tracce del convivente tunisino» (con la sola imprecisione – in questo caso, diciamo così, comprensibile – del «convivente»).
Il mio non vuole essere un grido di dolore. Ma di amarezza sì. E soprattutto di stimolo a cercare di capire e di cambiare. Di darsi una regolata, sia sul piano della politica ma, tanto per cominciare, sul piano professionale. Altrimenti, tanto varrebbe dare ormai per morta una professione, quella giornalistica, a cui pure tanto deve la democrazia e il progresso di questo paese.

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