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- Una volta anticamente
- Egli è certo che un Barone
- Ci trattava duramente
- Con la corda e col bastone;
- D’in sull’alto Castellazzo,
- Dove avea covile e possa,
- Sghignazzando a mo’ di pazzo
- Ci mangiava polpa ed ossa.
-
- Ma la figlia d’un mugnaro
- Gli ha insegnato la creanza,
- Che rapita all’uom più caro
- Volea farne la sua ganza.
- Ma quell’altra prese impegno
- Di trattarlo a tu per tu:
- Quello è stato il nostro segno,
- E il Castello non c’è più.
-
- E sui ruderi ammucchiati,
- Dame e prodi in bella mostra,
- Sotto scarli inalberati
- Noi veniamo a far la giostra:
- Su quei greppi, tra quei muri,
- Che alla belva furon tana,
- Suonan pifferi e tamburi
- La vittoria popolana.
-
- Non v’è povero quartiere
- Che non sfoggi un po’ di gale,
- Che non canti con piacere
- La Canzon del Carnevale.
- Con la Sposa e col Garzone
- Che ad Abbà prescelto fu,
- Va cantando ogni rione:
- Il Castello non c’è più.
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