il futuro del lavoro

Scritto da il 11 luglio 2007

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Quando nel 1855, in Australia, si cominciò a manifestare per affermare i diritti dei lavoratori, la parola d’ordine era: “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”. E fu così per gran parte del movimento sindacale di tutto il primo Novecento.

In questi giorni in Italia il sindacato è impegnato in altre battaglie, in cui la parola d’ordine è “No allo scalone” o simili.

Non entro nel merito delle rivendicazioni sindacali e dei conti del governo. Per qualunque persona di buon senso è chiaro che il sistema che c’era prima era ottimo, forse troppo. E si sa che il troppo storpia. Oggi c’è bisogno di tagli e sacrifici, sarebbe solo demagogia (anche se con un fondo di verità) ridurre la questione a sostenere la necessità di iniziare a tagliare le pensioni d’oro e di chi le prende dopo due legislature o giù di lì. Forse è vero che sarebbe meglio qualcosa di più graduale dello scalone, e soprattutto senza negare i diritti già acquisiti.

Ma non è sulla riforma pensionistica in sè che voglio riflettere. Piuttosto su ciò che vorrei sentire dai sindacati: se bisogna andare avanti a lavorare fino a 60 anni, poi 65 e poi chissà… ed è chiaro che bisogna perchè non si può fare in altro modo, se i tempi si allungano, allora non è più accettabile l’antica parola d’ordine delle otto ore. Non tanto per le otto ore, ma per il sistema che non prevede una formazione che permetta di lavorare in modo produttivo fino a quell’età.

Se i sindacati e i sindacalisti fossero davvero dalla parte del lavoratore dovrebbero mettere sul tavolo delle trattative questa proposta: si accetta il nuovo sistema pensionistico ma con una nuova parola d’ordine. Che potrebbe suonare circa così: “sei ore di lavoro, 6 ore di formazione/fitness, 6 ore di svago, 6 ore per dormire”. C’è bisogno di garantire a tutti la possibilità di arrivare a 60, 65 anni con la testa e il fisico in ordine, e soprattutto la possibilità di rinnovare il proprio bagaglio di conoscenze e di formazione, in modo da non essere tagliati fuori dal mondo del lavoro.

Questo vorrei sentire dai sindacati. Ma ho paura che rimarrà un desiderio…

ps: ho considerato 6 ore di sonno perchè penso che la fatica di oggi sia diversa da quella del 1800. Per chi vorrà continuare a dormire 8 ore si potrà prenderne 2 dallo svago. Ma non preoccupatevi, la mia è pura utopia…

2 Commenti per “il futuro del lavoro”

  1. CarlOtto scrive:
    11 luglio 2007 at 17:24

    ritengo che la soluzione auspicata da Massimo, lavorare un po’ meno ed impiegare del tempo per tenere in manutenzione il corpo e stimolare/aggiornare la mente in modo di andare più in là con l’età lavorativa, sia già oggi abbondantemente praticata da coloro che esercitano professioni “intellettuali” (avvocati, primari, professori univesitari, politici, rock stars…) che stanno attaccati al loro lavoro, ed ai privilegi ad esso correlati, come la patella allo scoglio fino a età venerande. Questo grazie alla necessità-possibilità continua di aggiornamento professionale e alla disponibilità di tempo per prendersi “cura di se” grazie ad un’alto reddito che consente di circondarsi di colf, collaboratori, personal trainers ecc.
    Di difficile applicazione vedo questo sistema rispetto ai lavori cosiddetti usuranti; non riesco ad immaginare addetti a fonderie, forge, cantieri edili, non potendo ragionevolmente andare avanti più di tanto con attività fisicamente spossanti, che si riciclano ad esempio in callcenter o supermercati, per i quali magari ci sono in lista d’attesa trentenni laureati in attesa di occupazione.
    Le sei ore di lavoro sarebbero remunerate come le attuali otto? Dubito che le imprese si graverebbero di un tale carico economico. Ma un quarto in meno di retribuzione, per chi fatica ad arrivare a fine mese, in cambio oltretutto di una pensione posticipata di cinque anni come sarebbe accettato?
    Credo che la ricetta per risolvere il problema sia ancora lontana….

  2. massimo.sozzi scrive:
    12 luglio 2007 at 12:44

    Touché Carlo! Ma come dicevo in chiusura io parlavo di un’utopia. Tu sei sceso nel pratico e hai toccato i punti dolenti: la fatica usurante di certi lavori e la fatica di arrivare economicamente a fine mese.
    Probabilmente anche le otto ore apparvero come irrealizzabili subito, oggi sono una realtà di fatto. Io penso che se tutte le parti si rendessero disponibili a cedere qualcosa, il vantaggio che se ne trarrebbe sarebbe maggiore per tutti e sarebbe superiore a ciò che si è ceduto.
    Ma torno a dire, io ragiono per utopie…