la privacy

scritto da il 3 ottobre 2007

Ieri sera ho guardato Criminal Minds, un telefilm tra il poliziesco e l’introspettivo. Più introspettivo che poliziesco nella serie in onda in queste settimane. Due puntate, nella seconda la vicenda era imperniata su uno stupratore che sceglieva le sue vittime rubandone i dati che queste fornivano a una clinica della fertilità. La clinica a cui si rivolgevano le faceva compilare un modulo, con informazioni varie, che poi rivendeva a una società di vendite. Società in cui lavorava lo stupratore e in cui i dati erano liberamente accessibili da tutti i dipendenti per esigenze lavorative.

Se provate a tradurre il termine privacy con Google, troverete come significato il termine “segretezza”. Altri la traducono come “intimità” e “vita privata”.

Ma cos’è che deve rimanere segreto: ciò che faccio o il motivo per cui lo faccio? Ciò che sono o il motivo per cui lo sono?

Non è chiaro. Oggi, tanto più ci riempiamo bocca e testa (e anche il cuore) di privacy, tanto più regaliamo i nostri dati per tessere punti e raccolte premi omaggio. E tanto meno ci circondiamo di persone che ci conoscano e ci possano aiutare. Viviamo e moriamo in privacy, alla faccia di chi sostiene la necessità di un ritorno alla vita comunitaria. Salvo poi, spiattellare tutti i nostri segreti al primo contatto conosciuto in chat.

Abbiamo una legge che ci consente di firmare continuamente liberatorie, così da essere chiamati ad alta voce, con nome e cognome, magari per una visita medica un po’ delicata.

Conosco una scuola in cui non si poteva parlare dei problemi dei ragazzi, nemmeno nelle sedi opportune. Ma soprattutto, era assolutamente vietato parlare dei problemi delle famiglie che i ragazzi si portavano dietro. Rispetto della privacy, veniva detto! Chiunque abbia lavorato con i ragazzi, saprà come sia impossibile intervenire in modo efficace per aiutarli a crescere senza conoscerne la realtà familiare. Ho un bel da dire “chiamo il papà” a un ragazzo il cui padre è fuggito con la giovane amante. Il mio richiamo cadrà in un vuoto ironico, accentuando forse ancor di più la rabbia repressa per la situazione di abbandono di chi è richiamato.

Ma perchè questo rigido rispetto di una privacy non definibile? Quando si provava a chiedere più dialogo, la motivazione arrivava netta: “qui ci sono famiglie che pagano perchè nulla venga chiesto”.

La privacy? Sempre più una bella questione economica.

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