Cota è il mio presidente

scritto da il 31 marzo 2010

Premessa: non è diventato presidente grazie al mio voto. Se non avete capito bene: rileggete. Adesso possiamo iniziare…

Ieri sera leggevo a mia moglie i titoli dei gruppi che comparivano su Facebook: da “Cota non è il mio presidente” a “Provare imbarazzo per i piemontesi che hanno votato Roberto Cota”, passando per “se hai votato Cota fammi il piacere di dirmelo così ti cancello” e “Torino ha una relazione complicata con la Regione”.

Tutti simpatici, geniali nel giocare con le parole, tutti vicini al mio sentire. Ma non voglio aderire a nessuno.

Perchè vedo un pericolo: quello di non rendersi conto che si è perso. Quello di non capire che qualcosa non ha funzionato.

La vittoria della Bresso sembrava quasi certa e invece ha vinto lo sfidante. Perchè? Forse gli elettori hanno sentito la Bresso molto più distante di Cota, detto in altre parole (brutte) torinocentrica?

Forse può dar fastidio dare il voto a chi ti umilia? Meglio valdese che cattolico può non essere piaciuto (e vale il viceversa).

Forse i motivi sono altri, ma sicuramente ci sono.

Allora preferisco non cadere nel tunnel, tipicamente italiano, di non riconoscere la sconfitta. Preferisco le parole di Francesca: “prende nota, da buona affittuaria con i nuovi inquilini, di ciò che lascia in consegna in buone condizioni. Per tutto ciò che verrà riconsegnato tra 5 anni in condizioni peggiori PAGHERETE”.

Ma un po’ preoccupato leggo anche cosa scrive Zanotti: “a pochi passi gli scafati professionisti dell’uno e dell’altro schieramento si battono pacche sulle spalle e si scherniscono facendosi seri solo di fronte ai giornalisti: «Siamo prudenti, i risultati non sono ancora definitivi». E giù pacche”.

Noi siamo tristi, chi dovrebbe esserlo si scambia pacche sulle spalle. Ho paura che i motivi della sconfitta interessino solo a me.

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L’idea dei pellegrini davanti alla Sindone come se fossero a vedere Avatar, mi era sembrata quantomeno eccentrica.

Per fortuna al Cardinal Poletto proprio non è piaciuta.

E così ha stoppato l’editrice dei salesiani, ElleDiCi. Per fortuna c’è ancora chi mette dei paletti a certi elementi.

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passate le votazioni: piove!

scritto da il 30 marzo 2010

Finite. La tornata elettorale senza campagna elettorale è finita.

Chi ha vinto? L’astensionismo. Peccato che non fosse candidato.

Ma gli italiani non l’hanno voluto capire e l’hanno votato ugualmente. Oppure l’hanno capito, l’hanno votato, lui ha vinto ma in realtà al suo posto ci sarò un altro, un altro che ha ottenuto in percentuale molti meno voti.

Volete un esempio? In Toscana, il vincitore ha preso il 59,7% dei voti. Una bella percentuale. I voti però sono arrivati dal 61,3% dei toscani (aventi diritto di voto, anche detti elettori). Quindi, il vincitore è sostenuto dal 36,59% degli elettori. Il vero vincitore è astensione: 40,3%.

Ma non ha voce e questo gli italiani devono capirlo.

E chi ha vinto? In una partita, il risultato di 7-6 indica che la vittoria è di chi ha fatto 7 punti. Ad esempio: se la sfida tra cani e gatti finisce 7-6, vincono i cani. Ma se la partita è giocata in casa, magari dopo aver vinto in trasferta (sempre i cani) per 11 a 2, allora la vittoria ha il sapore amaro. E se i punti fuori casa contano doppio, il risultato è addirittura ribaltato.

E adesso?

Piove. Governo ladro.

ps: per la cronaca locale, il 47,32% di 64,33 equivale a 30,44. Neanche 1 piemontese su 3 vuole Cota come presidente. Chiaro?

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don Carlo Chenis

scritto da il 24 marzo 2010

Già, il dipinto della cappella dei Salesiani…

Leggo e copio da Diego:

«Don Carlo Chenis, Salesiano, era nato a Torino nel 1954, aveva studiato filosofia e teologia, ma anche architettura e scienze artistiche, era docente di filosofia teoretica presso l’Università Salesiana di Roma e dal 1995 è stato Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e Membro della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Ma le sue tante esperienze lo avevano portato anche a essere parroco di frontiera a Roma, a Ponte Mammolo, in anni difficili, e a portare costantemente il suo sostegno pastorale nell’amata parrocchia di Borore, in provincia di Nuoro. Dal 2006 Vescovo ordinario della diocesi di Civitavecchia-Tarquinia era uno dei migliori amici che l’arte contemporanea avesse all’interno della Chiesa cattolica.

Ho potuto incontrarlo da prete solo in due occasioni: ma ricordo da ragazzo soprattutto gli anni di oratorio a Cuorgnè dove i salesiani andavano in gioiosa fibrillazione all’annuncio di una sua visita. Don Carlo Chenis, arriva don Carlo… E allora giù a spiegare a noi giovani il bellissimo dipinto nella cappella feriale dove si iniziava la scuola del mattino con la preghiera o la messa di classe: quel catechismo disegnato dove ogni dettaglio faceva emergere una passione per Cristo non comune e geniale.

Capita ancora, per fortuna, di incontrare persone di cui non si riesce a parlare male. Don Carlo era così: venerato dai suoi confratelli e superiori per il suo essere “semplicemente ma interamente salesiano”. Davanti alle varie crisi della Chiesa di questi tempi sono figure del genere che cancellano le delusioni per tante altre: sono sacerdoti come lui che fanno ancora sperare nella ricchezza interiore del popolo di Dio, che don Carlo sapeva comunicare anche con la ricerca e l’amore per il Bello: primo segno del Divino.

Don Bosco diceva ai suoi figli che “non si va in paradiso in carrozza” e che “ci riposeremo in Paradiso”. Sono frasi che con la sua passione e il suo lavoro don Chenis aveva reso la sua regola di vita e che ora, sono certo, sono le prime che il suo amato Padre gli ha detto accogliendolo nel Regno dei Cieli».

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ciao 145jtd!

scritto da il 23 marzo 2010

2519 giorni insieme

12610 litri di gasolio bevuti

253091 km macinati: 5 volte il giro della terra

205587 km macinati insieme

ciao 145JTD!

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menù per i 33

scritto da il 19 marzo 2010

Grazie a Federica, che è anche la proprietaria delle foto, abbiamo preparato:

– sfogliatelle ai carciofi
– caponatina di fine inverno

– orecchiette al sugo di pescatrice

– spezzatino con peperoni rossi e lime
– gratin di carote

Abbiamo ricevuto (e mangiato!) i pasticcini dell’Antica Pasticceria Pan Belmonte.

E abbiamo abbinato:

– Erbaluce di Caluso 2008 Fiordighiaccio – Cooperativa Produttori Erbaluce di Caluso

– Champagne Joseph Perrier 1996 Cuvée Royale

– Alto Adige Terlaner Sauvignon 2007 Winkl – Cantina di Terlano

– Vallée d’Aoste Chambave Moscato Passito 2007 – La Crotta di Vegneron

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trentatrè

scritto da il 7 marzo 2010

Trentatrè trentini entrarono in Trento tutti e trentatrè trotterellando.

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tre storie da mal di pancia

scritto da il 5 marzo 2010

Quando le cose le scrivono bene gli altri, non resta che copiare e attribuire la paternità.

Tre storie è il post che trovate qui sotto, scritto da don Diego. Il mal di pancia è il mio quando ho visto, prima di leggere il post, la storiella dell’imprenditore.

«– Un imprenditore che rischia di perdere tutto quello che ha per permettere al figlioletto di frequentare la figlioletta del dipendente.
– Due amiche e una convince l’altra ad una vita di inferno per riaprire l’asilo dove sono cresciute.
Un ricercatore affermato all’estero che per nostalgia degli spaghetti torna in Italia per un progetto precario. Dimostrando che solo i cervelli davvero fuggono e non tornano.
Tre storie che vengono sparate in onda negli spazi pubblicitari e che hanno quella nota di poesia e quel tono di speranza di cui forse abbiamo bisogno.
Peccato però che alla fine non appaia il logo di Pubblicità Progresso, che magari le giustificherebbe con tutto quel miele in sovrappiù; ma quello di una banca che ha per motto: “sempre al tuo fianco”.
Con la pistola alla fronte?».

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Scrive, come sempre molto bene, Massimo Gramellini nel Buongiorno di oggi: «Si può ancora vivere senza Grandi Eventi? La risposta l’ha data ieri sera al Tg5 il grandeventista Bertolaso: no. Egli intende proporre l’Abruzzo terremotato come sede delle Olimpiadi invernali 2018(…).

Il Cile dovrebbe affrettarsi a chiedere i prossimi campionati del mondo di calcio e Haiti la sede permanente dell’Onu, prima che la stessa venga trasferita accanto a un inceneritore di Napoli. Nessuno mette in dubbio la bellezza delle montagne abruzzesi. A lasciare esterrefatti è l’ideologia del Grande Evento aspira-soldi come unica soluzione per risolvere i piccoli e grandi disastri della vita.

Solo la fiaccola olimpica potrà togliere le macerie dal centro dell’Aquila? Parrebbe di sì(…). Si proceda quindi con il decreto Bertolimpionico. Articolo 1: l’Italia è un Grande Evento permanente. Articolo 2: Balducci e Anemone sono nominati commissari straordinari fino a esaurimento dei fondi».

Non condivido in pieno l’analisi di Gramellini: il problema non è nel centrarsi sul Grande Evento come unica soluzione per risolvere i disastri della vita.

Il problema è che ci sono dei personaggi seguaci delle teorie di Milton Friedman, il quale sosteneva: «Solo una crisi, reale o percepita, porta a cambiamenti reali. Quando capita questa crisi, le azioni che vengono compiute dipendono dalle idee che corrono. Questa, credo, è il nostro ruolo fondamentale: sviluppare alternative alle politiche esistenti, tenerle in vita ed a disposizione finché il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile» (da qui).

Mi sembra una bella frase? Provate a rileggerla: noi proponiamo delle soluzioni moralmente inaccettabili, perciò, per metterle in atto, dobbiamo attendere, magari anche sperare e, perchè no, spingere in modo tale che capiti qualcosa di grosso (una tragedia); così da rendere accettabile l’inaccettabile.

Racconta Naomi Klein che, una settimana dopo la devastante alluvione di New Orleans, «Richard Baker, un importante membro repubblicano del Congresso nonché loro concittadino, aveva detto a un gruppo di lobbisti: “Siamo finalmente riusciti a ripulire il sistema delle case popolari a New Orleans. Noi non sapevamo come fare, ma Dio l’ha fatto per noi”. Joseph Canizaro, uno dei più ricchi costruttori di New Orleans, aveva da poco espresso sentimenti analoghi: “Credo che abbiamo di fronte una tabula rasa da cui ripartire. E grazie a questa tabula rasa abbiamo grandi opportunità”» (22passi).

Il problema non è centrarsi sul Grande Evento per creare qualcosa di bello, il problema è spingere affinché ci sia il Grande Evento e, soprattutto, creare un sistema subito pronto a specularci sopra. Il signor Friedman è riuscito a prendere il nobel, altri si “limitano” a costruire casette all’Aquila sperando di vincere le elezioni: ma la lezione dell’economista l’hanno appresa molto bene.

Se volete capirne un po’ di più, vi consiglio lo spettacolo di Laura Curino e Natalino Balasso: Viaggiatori di pianura.

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Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo?

Primo Marzo 2010 si propone di organizzare una grande manifestazione non violenta per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società.

Collegato e ispirato al francese La journée sans immigrés: 24h sans nou, il movimento Primo Marzo 2010 nasce meticcio ed è orgoglioso di riunire al proprio interno italiani, stranieri, seconde generazioni, e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli.

Nel manifesto programmatico c’è scritto: «Siamo consapevoli dell’importanza dell’immigrazione (non solo dal punto di vista economico) e indignati per le campagne denigratorie e xenofobe che, in questi ultimi anni, hanno portato all’approvazione di leggi e ordinanze lontane dal dettato e dallo spirito della nostra Costituzione.
Condanniamo e rifiutiamo gli stereotipi e i linguaggi discriminatori, il razzismo di ogni tipo e, in particolare, quello istituzionale, l’utilizzo stumentale del richiamo alle radici culturali e della religione per giustificare politiche, locali e nazionali, di rifiuto ed esclusione.
Ricordiamo che il diritto a emigrare è riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e che la storia umana è sempre stata storia di migrazioni: senza di esse nessun processo di civilizzazione e costruzione delle culture avrebbe avuto luogo. La violazione di questo e di altri diritti fondamentali danneggia e offende la società nel suo complesso e non solo le singole persone colpite».

Su www.psicologiadellavoro.com trovate un mio approfondimento sul rapporto tra la psicologia e lo sciopero.

L’immagine della manifestazione è dell’artista Giuseppe Cassiba.

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