Profumo? Io sento solo puzza…

scritto da il 27 settembre 2012

E’ più facile organizzare una lotteria o sistemare la burocrazia della scuola italiana?

Il vostro stesso pensiero lo ha avuto l’ex magnifico rettore Profumo. E così ha dato il via al concorso per la scuola, assente dalle scene dal lontano 1999.

Peccato che alcuni vincitori di quel concorso siano ancora senza posto fisso. Peccato che ci siano vincitori del concorso 1992 ancora senza assunzione.

Ma vuoi mettere che ritorno di immagine?

Caro Profumo, ho da farti qualche domanda:

– perchè le competenze di informatica si basano su word ed excel? Quelli sono applicativi a pagamento, le domande le devi fare su software libero. Se non sbaglio, oltre al buon senso, lo impone la legge.

– invece di perdere tempo a organizzare ‘sta buffonata, non sarebbe utile riformare il sistema scolastico in modo tale che a luglio le classi e gli insegnanti siano definiti?

– infine, mi spieghi perchè uno che vinmcerà il concorso per una botta di culo (e non voglio pensare che sia invece un calcio in culo…) potrà passare davanti a persone che vengono sfruttate da anni dallo stato, con infiniti contratti a tempo determinato che nel privato obbligherebbero all’assunzione?

Profumo? Io sento solo puzza di mer…

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ognuno faccia la sua parte

scritto da il 18 settembre 2012

Dice Marchionne: “ognuno faccia la sua parte”…perciò, cari operai, da domani per entrare in fabbrica pagherete il biglietto.

E non ditemi grazie…(Crozza docet).

ps: a te che piace Renzi, ricordati che il bambinone di Firenze sta con il Sergio statunitense…

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calcio: oppio dei popoli

scritto da il 7 settembre 2012

La Stampa, Repubblica, il tg di La7…vi siete accorti che si stanno svogendo le Paralimpiadi?

Non vi hanno detto che stiamo vincendo una medaglia dietro l’altra?

E allora, perchè cazzo continuate a parlare solo di quella merda del calcio?

‘fanculo!

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Pino Masciari è in pericolo di vita!

E’ stato lasciato senza scorta e nessun telegiornale se occupa.

Tutti a raccontare il ricordo contrito e triste dei politici, impegnati nelle commemorazioni di Giovanni Falcone e Placido Rizzotto.

I quali, nelle tombe in cui sono finiti perchè lasciati soli come Pino Masciari, si stanno rivoltando e INCAZZANDO!

Squinzi presidente

scritto da il 22 marzo 2012

Era sostenuto da Montezemolo e Marchionne, il quale aveva promesso (o minacciato) che la Fiat sarebbe rientrata in Confindustria se avesse vinto. E’ a favore dell’abolizione totale dell’articolo 18 (e forse anche di tanti altri articoli…la schiavitù è sicuramente la forma di investimento produttivo più conveniente).

Bombassei ha perso. Che peccato…

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Scrive Antonio Socci su “Libero” del 18 marzo 2012: «Monopolizzano la scena ormai da mesi: la “signora crescita” e il “signor pil”. E inseguiamo tutti drammaticamente il loro matrimonio. Anche in queste ore sono al centro delle trattative fra partiti, governo e sindacati.

(…) chi è questo “signor Pil”?

I manuali dicono che è il “valore di beni e servizi finali prodotti all’interno di un certo Paese in un intervallo di tempo”. Ma fu proprio l’inventore del Pil, Simon Kuznets, ad affermare che “il benessere di un Paese non può essere facilmente desunto da un indice del reddito nazionale”.

Lo ha ricordato ieri Marco Girardo, in un bell’articolo su “Avvenire”, aggiungendo che ormai da decenni economisti e pensatori mettono in discussione questo parametro: da Nordhaus a Tobin, da Amartya Sen a Stiglitz e Fitoussi.

Girardo ha riproposto anche un bell’intervento di Bob Kennedy, che già nel 1968, tre mesi prima di essere ammazzato nella campagna presidenziale che lo avrebbe portato alla Casa Bianca, formulò così il nuovo sogno americano:

“Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.

Non è una discussione astratta. Infatti con l’esplosione e lo strapotere della finanza – che nei primi anni Ottanta valeva l’80 per cento del Pil mondiale e oggi è il 400 per cento di esso – questo “erroneo” Pil è diventata la forca a cui si impiccano i sistemi economici, il benessere dei popoli e la sovranità degli stati.

Oggi la ricchezza finanziaria non è più al servizio dell’economia reale e del benessere generale, ma conta più dell’economia reale e se la divora, la determina e la sconvolge (e con essa la vita di masse enormi di persone).

Anche perché ha imposto una globalizzazione selvaggia che ha messo ko la politica e gli stati e che sta terremotando tutto.

La crescita del Pil o la sua decrescita decide il destino dei popoli, è diventata quasi questione di vita o di morte e tutti – a cominciare dalla politica, ridotta a vassalla dei mercati finanziari – stanno appesi a quei numerini.

Dunque le distorsioni e gli errori che erano insiti nell’originaria definizione del Pil rischiano di diventare giudizi sommari e sentenze di condanna per i popoli.

Per questo, l’estate scorsa, nel pieno della tempesta finanziaria che ha investito l’Italia, un grande pensatore come Zygmunt Bauman, denunciando “un potere, quello finanziario, totalmente fuori controllo”, descriveva così l’assurdità della situazione: “C’è una crisi di valori fondamentali. L’unica cosa che conta è la crescita del pil. E quando il mercato si ferma la società si blocca”.

Nessuno ovviamente può pensare che non si debba cercare la crescita del Pil (l’idea della decrescita è un suicidio (NON CONDIVIDO. Massimo)). Il problema è cosa vuol dire questa “crescita” e come viene calcolata oggi. Qui sta l’assurdo.

Bauman faceva un esempio:

“se lei fa un incidente in macchina l’economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all’infinito. Se un bene passa da una mano all’altra senza scambio di denaro è uno scandalo. Dobbiamo parlare con gli istituti di credito”.

Con questa assurda logica – per esempio – fare una guerra diventa una scelta salutare perché incrementa il pil, mentre avere in un Paese cento Madre Teresa di Calcutta che soccorrono i diseredati è irrilevante.

Un esempio italiano: avere una solidità delle famiglie o una rete di volontariato che permettano di far fronte alla crisi non è minimamente calcolato nel Pil.

Eppure proprio noi, in questi anni, abbiamo visto che una simile ricchezza, non misurabile con passaggio di denaro, ha attutito dei drammi sociali che potevano essere dirompenti.

Ciò significa che ci sono fattori umani, non calcolabili nel Pil, che hanno un enorme peso nelle condizioni di vita di una società e anche nel rilancio della stessa economia.

Perché danno una coesione sociale che il mercato non può produrre, ma senza la quale non c’è neppure il mercato.

Ecco perché Benedetto XVI nella sua straordinaria enciclica sociale, “Caritas in Veritate”, uscita nel 2009, nel pieno della crisi mondiale, ha spiegato che “lo sviluppo economico, sociale e politico, ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano di fare spazio al principio di gratuità”, alla “logica del dono”.

(…)Noi c’illudiamo che il nostro Pil torni a crescere se imiteremo la Cina. Ma la Cina – anzi la Cindia – non fa che fabbricare, in un sistema semi-schiavistico (quindi a prezzi stracciati), secondo un “know how” del capitalismo che è occidentale. Scienza, tecnologia ed economia sono occidentali. L’Oriente copia.

Proprio l’Accademia delle scienze sociali di Pechino, richiesta dal regime di “spiegare il successo, anzi la superiorità dell’Occidente su tutto il mondo”, nel 2002, scrisse nel suo rapporto: “Abbiamo studiato tutto ciò che è stato possibile dal punto di vista storico, politico, economico e culturale”.

Scartate la superiorità delle armi, poi del sistema politico, si concentrarono sul sistema economico: “negli ultimi venti anni” scrissero “abbiamo compreso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione: il cristianesimo. Questa è la ragione per cui l’Occidente è stato così potente. Il fondamento morale cristiano della vita sociale e culturale è ciò che ha reso possibile la comparsa del capitalismo e poi la riuscita transizione alla vita democratica. Non abbiamo alcun dubbio”.

Loro lo sanno. Noi non più».

Il finale è un po’ tirato, alcune parti non le condivido, alcune le ho tagliate perchè non utili al senso dell’articolo.

Resta valido il concetto: il PIL è solo una grande inculata per le persone comuni, ovvero il 98% della popolazione mondiale.

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Nelle ultime settimane, diversi autori hanno sostenuto la TAV con la motivazione: non è possibile che i pochi abitanti di una sperduta valle si mettano contro le decisioni di un governo nazionale.

Il fulcro del discorso si è spostato dal piano squisitamente tecnico a quello esclusivamente politico: opporsi alla TAV è sinonimo di antidemocrazia (sic!).

Perchè questo spostamento di focus?

Forse perchè sul piano tecnico l’inutilità del progetto TAV è troppo lampante!

«E così il governo tira finalmente fuori alcune risposte ai dubbi sul Tav Torino-Lione. Posto che una seria valutazione non si fa a colpi di comunicati e dibattito sui giornali, ma attivando una apposita commissione tecnica indipendente, accenniamo qui ad alcune obiezioni. Secondo il team tecnico della Comunità Montana Valli Susa e Sangone, i 14 punti appaiono “affrettati, superficiali, parziali e qua e là inesatti; in ogni caso mancano i riferimenti agli studi che dovrebbero esserne la base e che, se esistono, continuano a essere coperti da segreto di Stato”. Il riferimento alla riduzione delle emissioni di gas serra e ai benefici ambientali dell’opera non è credibile, in quanto la letteratura scientifica internazionale attribuisce a opere simili pessime prestazioni energetiche e qui si afferma il contrario senza fornire un’Analisi del Ciclo di Vita (LCA) o un semplice bilancio di carbonio verificabile, invocati da anni.

Il nuovo tunnel di base, tra energia e materie prime spese in fase di realizzazione ed energia di gestione, inclusa quella per il raffreddamento dell’elevata temperatura interna alla roccia, produrrebbe più emissioni della linea storica a pieno carico di merci e passeggeri, in palese contrasto con gli obiettivi europei di efficienza energetica 20-20-20. Per limitare l’impatto psicologico e diluire quello finanziario a carico dei contribuenti si tende nei 14 punti a frammentare l’opera in sezioni indipendenti più piccole, che tuttavia non permetterebbero da sole di raggiungere le prestazioni promesse. Un esempio: si dichiara una riduzione dei tempi di percorrenza tra Torino e Chambéry pari a 79 minuti, solo grazie al nuovo tunnel di base, rimanendo invariati i raccordi. Ma tale risultato è irraggiungibile senza la realizzazione dell’intera tratta, in quanto implicherebbe velocità prossime ai 500 km/h in tunnel a fronte di una velocità di progetto di 220 km/h. Delle tre ore di riduzione tempi di percorrenza sulla tratta Parigi-Milano enunciate al punto 6, già ora circa 40 minuti sarebbero recuperabili facendo transitare i TGV sulla nuova e sottoutilizzata linea ad alta velocità Torino-Milano, sulla quale tuttavia i treni francesi non sono ammessi per discutibili scelte sui sistemi di segnalamento, che pure l’Europa individua come primo fattore da armonizzare per le reti transeuropee. Al punto 11 si arriva addirittura ad affermare che “il progetto non genera danni ambientali diretti ed indiretti” il che è ovviamente impossibile, un’opera di questo genere presenta inevitabilmente enormi criticità ambientali e sanitarie, evidenziate perfino nelle relazioni progettuali LTF, che si può tentare di mitigare e compensare, ma non certo eliminare. L’unico modo per non avere impatti “nel delicato ambiente alpino” è lasciarlo indisturbato!

I posti di lavoro promessi, oltre che sovrastimati, riguarderebbero principalmente gli scavi in galleria, dunque notoriamente temporanei, insalubri e di modesta qualificazione professionale, in genere coperti da emigrati da paesi in via di sviluppo. Le prestazioni della linea esistente vengono minimizzate sulla base della vetustà e non delle sue effettive capacità. Nel 2010 infatti la linea attuale è stata utilizzata a meno del 12% delle sue potenzialità. Un tunnel è un tunnel, non può essere né vecchio né nuovo allorché svolge la sua funzione di condotto. Il Frejus, benché ultimato nel 1871, a differenza di quanto affermato al punto 8 “dove non entrano i containers oggi in uso per il trasporto merci” è stato recentemente ampliato per consentire il passaggio di container a sagoma GB1 (standard europeo), spendendo poco meno di 400 milioni di euro. Non è chiaro perché il collaudo tardi ancora o, se c’è stato, perché permangano i limiti preesistenti ai lavori. Quanto alla pendenza della linea storica, indicata al punto 6 nel 33 per mille, si rileva che il valore medio è attorno al 20 per mille, e solo 1 km raggiunge il 31 per mille e non il 33. L’energia spesa per raggiungere la quota massima del tunnel del Frejus a 1335 metri viene inoltre in buona parte recuperata nel tratto di discesa.

Si ricorda che negli Stati Uniti l’unico tunnel che attraversa il Continental Divide nelle Montagne Rocciose del Colorado, il Moffat Tunnel, lungo 10 km, è a binario unico e culmina a ben 2817 m, e dal 1928 viene ritenuto ancora perfettamente efficiente. In conclusione: c’è già una ferrovia funzionante lungi da essere paragonata a una macchina da scrivere nell’era del computer; l’attuale domanda di trasporto è enormemente inferiore alla capacità della linea; costruire un’altra linea in megatunnel costa una cifra spropositata in un momento così critico per la nostra economia; l’Europa non ci ha imposto niente, tant’è che non ha ancora deciso se finanziare o meno il tunnel di base; la valutazione di impatto ambientale dell’intero progetto non è mai stata effettuata; l’analisi completa costi-benefici non è ancora stata pubblicata; il bilancio energetico non è disponibile. E nel frattempo, intorno alla torta si affollano anche troppi commensali, tutti interessati a partire con i lavori, non importa come, purché si cominci a scavare» (da “TAV, LE 14 BUGIE DEL GOVERNO SU UN’OPERA COSTOSA E DANNOSA” di Luca Mercalli, “Il Fatto Quotidiano”, 15 marzo 2012).

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Non importa come la pensiate sulla Tav, se ancora pensate con la vostra testa, non potete che concordare su un dato di fatto: quello che sta andando in onda è il peggio dell’Italia.

E’ il peggio quando un giornalista (sempre che Sallusti si possa definire tale) può scrivere che un la vittima di un incidente è solo un “cretinetti”.

E’ il peggio quando i giornalisti (veri, non come quello sopra) vengono picchiati perchè raccontano quello che capita.

E’ il peggio quando le forze dell’ordine spaccano le vetrine anzichè aspettare che gli venga aperta la porta.

E’ il peggio quando un movimento, che nasce con ottime intenzioni, non è capace di isolare i violenti.

E’ il peggio quando le forze dell’ordine si trasformano in picchiatori di professione, al soldo delle lobby dei costruttori.

E’ il peggio quando la politica pensa solo ai suoi interessi e li maschera di interesse pubblico.

E’ il peggio quando un ministro dice “dialogo e fermezza”, significa: parlami tanto non ti ascolto.

E’ il peggio. Da tutte e due le parti.

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paghiamo per faticare

scritto da il 6 febbraio 2012

Noi, inteso come la maggioranza dei cittadini italiani, siamo delle persone molto fortunate.

Questa fortuna non si è creata all’improvviso davanti a noi, ma è il frutto di anni di lavoro e conquiste.

Noi siamo molto fortunati perchè: paghiamo per faticare.

Lo dimostra l’abbondanza dell’offerta di palestre, piscine, attività sportive e pseudo-sportive che ci circonda.

Cento anni fa, ai nostri bisnonni, questa fortuna non è toccata. Oggi, a chi vive nel sud del mondo, questa fortuna non è concessa.

Eppure non ce ne rendiamo conto e continuiamo a cercare mille modi per farci del male. Inseguiamo il pil, lo spread e le mille cazzate delle teorie sulla flessibilità. Inseguiamo le chimere della produttività, le agenzie internazionali che poi sono ben arroccate in paesi ultranazionalisti, cerchiamo in tutti i modi di buttare via la nostra vita.

Siamo fortunati, per faticare dobbiamo pagare, eppure cerchiamo in tutti i modi di complicarci la vita.

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La Sicilia in questi giorni sembra essere paralizzata. La notizia ha faticato a trovare spazio: la tragedia della Costa era più importante o forse era meglio puntare lì i riflettori.

Ma un’intera regione paralizzata non può restare a lungo in silenzio: il movimento spontaneo dei forconi continua la sua protesta.

Hanno sopportato per anni Cuffaro e la sua giunta, hanno sopportato Berlusconi e le sue veline.

Proprio adesso non sopportano più. Strano.

Io ho qualche dubbio…

Solo quando vedrò i ragazzi di Libera unirsi  al movimento dei forconi mi passeranno i dubbi.

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risalga subito a bordo

scritto da il 17 gennaio 2012

In tanti lo stanno linkando: è l’audio della telefonata tra il comandante Schettino, della Costa Concordia, e il Capitano De Falco della Capitaneria di Porto.

Se non l’avete ancora sentito, cercatelo in rete: lo troverete in fretta e vi chiederete come abbia fatto Schettino ad arrivare così in alto.

Qualcuno, senza troppi scrupoli, ci metterà una musichetta sotto e quest’estate animerà le notti in discoteca…

Nel frattempo in tanti lo linkano. Ma non per il comandante della Costa Concordia. Quello che magnetizza è l’ufficiale De Falco: lui sa di cosa sta parlando, lui capisce la gravità della situazione ma non perde il contatto con la realtà. Lui impartisce ordine a cui bisogna attenersi.

E’ il Capitano De Falco che ci attrae. E’ il militare che impartisce l’ordine a cui non puoi far altro che obbedire.

E ti chiedi se, ogni tanto, non sarebbe utile avere un po’ più di disciplina, di ordine gerarchico. Sul lavoro, quando il cuoco in cucina fa schifezze e tu, gestore del locale, lo capisci: ti ordino di cucinare meglio. Punto. Invece no, bisogna dialogare, capirsi, mantenere la serenità…

Poi, però, è l’ufficiale De Falco che, con modi non troppo gentili, risolve le situazioni.

«Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto… veramente molto male… le faccio passare un’anima di guai. Vada a bordo, cazzo!»

Dieci, cento, mille Cortina

scritto da il 10 gennaio 2012

Nel titolo c’è tutto.

Se ve la siete persa, eccovi la notizia.

 

 

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Sarebbe riduttivo riportare solo le parole di Tettamanzi sulla giustizia, perchè ieri l’arcivescovo di Milano ha toccato altri due punti molto forti: «Perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come ‘guerra’ le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? (…) Perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei Paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?».

Una sintonia con il vescovo di Ivrea, Arrigo Miglio, che ricordava come oggi si continui a vivere la Passione nelle acque del Mediterraneo e nei paesi in guerra.

La risposta, Tettamanzi la trova in Gesù come re «umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace». «Siamo allora chiamati a interrogarci sull’unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti. La vera potenza sta nell’umiltà, nel dono di sè, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita».

 

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incomprensibile è la thyssen

scritto da il 15 aprile 2011

«La Corte di Assise di Torino ha riconosciuto l’omicidio volontario con dolo eventuale per i sette morti del rogo alla Thyssen. L’amministratore delegato Herald Espenhahn è stato condannato a 16 anni e mezzo di reclusione come richiesto dalla pubblica accusa» (laStampa.it).

L’azienda Thyssen, attraverso i suoi avvocati, fa sapere che ritiene la sentenza «incomprensibile e inspiegabile».

Di incomprensibile e inspiegabile ci sono solo sette morti.

Taccia la Thyssen e tacciano i suoi avvocati.

E forse, invece di pensare a smembrare la magistratura, sarebbe ora di fornire un codice etico agli avvocati…o quanto meno, un vademecum per evitare di cadere nel ridicolo con simili dichiarazioni.

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la Marcegaglia è sola…

scritto da il 11 aprile 2011

Emma Marcegaglia: «mai come in questi momenti gli imprenditori si sentono soli».

Poveretti…ma chi se ne frega!!!

Non vi sentivate così soli quando non avete investito 1 euro in ricerca. Non vi sentivate così soli quando avete distrutto il sistema contrattuale per farci precipitare nel precariato.

Non vi sentite così soli quando continuate a vivere in un mondo parallelo, fregandovene di chi cerca di sopravvivere supplicando un lavoro.

E’ chiaro che senza imprenditore non c’è impresa e senza impresa non c’è lavoro.

Ma, signora Marcegaglia, oggi chi è davvero solo in Italia non siete voi.

Voi però avete maggiori possibilità di far cambiare le cose: tornate ad assumere con contratti decenti, cominciate a investire nella ricerca, smettetela di appoggiare chi fugge dall’Italia, smettetela di evadere. Vedrete che non sarete più così soli.

 

ps: Montezemolo vuole scendere in campo? Che scelta infelice di termini: l’ha già fatto uno nel 1994 ed è uno schifo che non siamo ancora riusciti ad eliminare…

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