Scrive, come sempre molto bene, Massimo Gramellini nel Buongiorno di oggi: «Si può ancora vivere senza Grandi Eventi? La risposta l’ha data ieri sera al Tg5 il grandeventista Bertolaso: no. Egli intende proporre l’Abruzzo terremotato come sede delle Olimpiadi invernali 2018(…).

Il Cile dovrebbe affrettarsi a chiedere i prossimi campionati del mondo di calcio e Haiti la sede permanente dell’Onu, prima che la stessa venga trasferita accanto a un inceneritore di Napoli. Nessuno mette in dubbio la bellezza delle montagne abruzzesi. A lasciare esterrefatti è l’ideologia del Grande Evento aspira-soldi come unica soluzione per risolvere i piccoli e grandi disastri della vita.

Solo la fiaccola olimpica potrà togliere le macerie dal centro dell’Aquila? Parrebbe di sì(…). Si proceda quindi con il decreto Bertolimpionico. Articolo 1: l’Italia è un Grande Evento permanente. Articolo 2: Balducci e Anemone sono nominati commissari straordinari fino a esaurimento dei fondi».

Non condivido in pieno l’analisi di Gramellini: il problema non è nel centrarsi sul Grande Evento come unica soluzione per risolvere i disastri della vita.

Il problema è che ci sono dei personaggi seguaci delle teorie di Milton Friedman, il quale sosteneva: «Solo una crisi, reale o percepita, porta a cambiamenti reali. Quando capita questa crisi, le azioni che vengono compiute dipendono dalle idee che corrono. Questa, credo, è il nostro ruolo fondamentale: sviluppare alternative alle politiche esistenti, tenerle in vita ed a disposizione finché il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile» (da qui).

Mi sembra una bella frase? Provate a rileggerla: noi proponiamo delle soluzioni moralmente inaccettabili, perciò, per metterle in atto, dobbiamo attendere, magari anche sperare e, perchè no, spingere in modo tale che capiti qualcosa di grosso (una tragedia); così da rendere accettabile l’inaccettabile.

Racconta Naomi Klein che, una settimana dopo la devastante alluvione di New Orleans, «Richard Baker, un importante membro repubblicano del Congresso nonché loro concittadino, aveva detto a un gruppo di lobbisti: “Siamo finalmente riusciti a ripulire il sistema delle case popolari a New Orleans. Noi non sapevamo come fare, ma Dio l’ha fatto per noi”. Joseph Canizaro, uno dei più ricchi costruttori di New Orleans, aveva da poco espresso sentimenti analoghi: “Credo che abbiamo di fronte una tabula rasa da cui ripartire. E grazie a questa tabula rasa abbiamo grandi opportunità”» (22passi).

Il problema non è centrarsi sul Grande Evento per creare qualcosa di bello, il problema è spingere affinché ci sia il Grande Evento e, soprattutto, creare un sistema subito pronto a specularci sopra. Il signor Friedman è riuscito a prendere il nobel, altri si “limitano” a costruire casette all’Aquila sperando di vincere le elezioni: ma la lezione dell’economista l’hanno appresa molto bene.

Se volete capirne un po’ di più, vi consiglio lo spettacolo di Laura Curino e Natalino Balasso: Viaggiatori di pianura.

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Camillo Olivetti di Laura Curino

scritto da il 18 novembre 2008

Non c’era solo Vittorio Pasteris domenica sera alle Officine H! C’eravamo anche noi, forse anche qualche posto più avanti del 300. C’erano tante persone…

E Laura Curino ci ha regalato un’interpretazione davvero emozionante

C’erano tante persone in piedi ad applaudirla.

Grazie Signora Curino!

Grazie Camillo!

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29 ottobre 1908

scritto da il 29 ottobre 2008

«Una buona storia non stanca mai. Hai voglia di riascoltarla(…).

Giusto cento anni fa, esattamente il 29 ottobre del 1908, Camillo Olivetti espose sul tetto il cartello “Prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere”, suscitando la disapprovazione dei suoi concittadini: “L’Olivetti ha fatto il passo più lungo della gamba! Che idea strampalata! Non funzionerà…”. E invece quello fu il nucleo di quel fenomeno straordinario che è stata la cultura Olivetti: fabbriche belle, integrate nella bellezza del luogo dove sorgevano, che creavano macchine utili, ma anche belle, che producevano utili sostanziosi, ma anche innovazione, secondo una filosofia che poneva al centro del processo produttivo la persona e non il profitto.

Tutto è partito da Ivrea ma si è proiettato in tutto il mondo(…)».

di Laura Curino su To.7 n°997

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