Quella che segue sotto la foto, è la lettera scritta da don Luigi Ciotti, come commento alla foto pubblicata sullo sgombero dei rom di Ponticelli. L’articolo apparso sull’Unità del 16 maggio 2008. Io l’ho scoperto grazie a ValeH che me l’ha riportato. Lo trovate anche sul sito di Libera da dove ho anche preso la foto.

Io cercherò di fare mie le parole di don Ciotti. Noi chiediamo scusa…

Cara signora,
ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l’altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un’espressione di imbarazzo misto a rassegnazione. Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese – reti da materasso a fare da sponda – una scritta: “ferrovecchi�?.

Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti.

Nel nostro paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. E’ un’esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. E’ il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo – essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene – doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere. Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.

Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall’insicurezza economica – che riguarda un numero sempre maggiore di persone – e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l’insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore.

Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un’immagine. E’ come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati “di troppo�?, e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio – alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un’informazione a volte pronta a fomentare odi e paure – funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.

Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell’idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l’hanno provato sulla loro pelle.

Lo ripeto, non si tratta di “giustificare�? il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d’illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché “depenalizzate�? nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta. Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l’attenzione delle forze dell’ordine e continuano più indisturbati nei loro affari.

Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel “sociale�?, nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un’altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.

La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un “reato d’immigrazione clandestina�? nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure.

Un’ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un po’ le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda – anche per essere stati figli e nipoti di migranti – continuano a nutrire.

La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s’impegnano per un mondo più giusto e più umano.

Luigi Ciotti
presidente del Gruppo Abele e di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”

La ricetta proposta dal ministro alla Difesa (da chi?), La Russa, per sconfiggere l’illegalità è molto semplice. E prevede un unico ingrediente, panacea per ogni crimine: non più grandi accampamenti Rom, ma “mini-campi, con una famiglia o una decina di persone” (notizie.alice.it).

Geniale!

Mi permetto solo di suggerire altri piccoli ingredienti, che renderebbero completa un’azione che già si preannuncia epica.

1- per evitare i problemi del sovraffollamento nelle ore di punta, le città dovranno essere di massimo 20 abitanti;

2- per incentivare il “tutto esaurito”, gli alberghi dovranno avere massimo 6 posti letto;

3- per evitare le violenze negli stadi, si dovranno restringere i posti a 10. Tutti in tribuna vip;

4- per risolvere lo storico precariato dei professori, le classi dovranno avere massimo 5 persone. Possibilmente della stessa città (vedi punto 1).

Infine, per risolvere qualche problema in Italia, forse ci vorrebbe un governo di massimo 0 (zero) ministri con idee così geniali…

Forse sono più facili da attuare i 4 punti precedenti!

Napoli Vs Rom: video

scritto da il 14 maggio 2008

Mentre l’Ansa batte l’ultimo aggiornamento: «Un incendio sta bruciando due campi rom del quartiere di Ponticelli in via Malibran (…)», volevo lasciarvi un piccolo video, per chi si fosse perso la “fierezza” di cui parlavo prima.

Senza parole.

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Napoli VS Rom

scritto da il 14 maggio 2008

«Forti tensioni nel campo rom di via Argine a Napoli, dove i residenti del quartiere Ponticelli hanno fatto irruzione seminando il panico tra i nomadi, lanciando sassi e dando fuoco al campo. Fiamme anche all’altro insediamento nella zona (…) Decine di persone residenti nel quartiere Ponticelli hanno forzato il cancello di ingresso e si sono scagliati contro le famiglie con spranghe e insulti. Dopo aver minacciato i rom che si trovavano nell’accampamento, che si sono allontanati rifugiandosi in quello di via Malibran, presidiato dalle forze dell’ordine, gruppi di facinorosi hanno dato fuoco al campo (…)» (fonte: TgCom).

Le avete viste, nei servizi dei tg, le “fiere” donne napoletane vantarsi di aver sistemato la situazione? Di aver fatto pulizia? Di aver creato giustizia?

Bene, adesso ci aspettiamo che con la stessa celere capacità risolvano il problema dei rifiuti.

E poi della camorra.

Con la stessa velocità e determinazione…

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