1 maggio: no alla spesa!

scritto da il 30 aprile 2008

Sabato scorso, davanti all’IperCoop del mio paesello, c’è stata una piccola manifestazione sindacale. I clienti che passavano sono stati invitati a non fare la spesa il 1° maggio.

Si, perchè anche la rossa Coop il 1° maggio sarà aperta…

Io appoggio l’idea: smettiamola di fare la spesa il 1° maggio. Ma anche alla domenica di Pasqua, nel giorno di Natale e in ogni altro giorno di festa, sia civile che religiosa.

I supermercati restano aperti perchè guadagnano molto, quasi più che nel resto della settimana. E se uno decidesse di chiudere regalerebbe solo i clienti al vicino. Ma se i clienti (cioè noi) non vanno da nessuno, allora tutti dovranno chiudere.

Ma non dovranno chiudere per sempre, perchè non fare la spesa il giorno di festa vuol semplicemente dire che la farò in settimana e quindi non apporterò alcun danno economico.

E così anche i lavoratori “volontari” (così dicono nell’ipermercato) potranno festeggiare, perchè dietro alla divisa di cassiera o addetto al reparto ci sono un uomo e una donna come il cliente che passa il giorno di festa a far la spesa perchè si diverte…con poco!

Earth Day, Giorno della Terra

scritto da il 22 aprile 2008

Oggi, 22 aprile, si celebra l’Earth Day, il Giorno della Terra. L’evento, che quest’anno è incentrato sul tema “Emergenza clima”, ebbe origine il 22 aprile 1970 quando 20 milioni di cittadini americani, rispondendo a un appello lanciato dal senatore democratico Gaylord Nelson, si mobilitarono per una grande dimostrazione a favore della salvaguardia dell’ambiente. Oggi l’Earth Day è una manifestazione internazionale celebrata in 174 Paesi.

Vi riporto l’articolo pubblicato sul Messaggero di Sant’Antonio (dove troverete anche altri approfondimenti), una riflessione scritta per l’occasione da Mario Tozzi. Leggetela fino in fondo, ne vale la pena. E fatela leggere a chi continua a sostenere l’esigenza di più energia, magari prodotta con il nucleare: perchè queste “esigenze” sono molto spesso solo capricci e brutte abitudini:

«Quando il barbone Mustafà si è installato sotto casa mia ho avuto una reazione di rifiuto che definire razzista è dire poco: ho pensato che era sporco e incontrarlo era come finire in una fogna. In più aveva il viso quasi deformato (da un incidente d’auto, come ho saputo quando ho cominciato a parlargli), i capelli tutti attaccati e unti, la barba lunghissima e incrostata e camminava come se stesse costantemente per perdere l’equilibrio. Non contento di avere invaso il «mio» marciapiede, la notte la passava direttamente sul selciato, prima sopra alcuni cartoni trafugati dal supermercato vicino, poi su un materasso rimediato chissà come. Infine ha completato la costruzione della sua nicchia ecologica con una serie di sacchi di plastica in cui ha sistemato le sue cose, dividendo la zona notte dal soggiorno – il tutto sempre sul marciapiede – ben protetto dai dodici cassonetti che sono lì tutti in fila davanti al supermercato.

Per mesi ci siamo alzati insieme: io aprivo le persiane nel momento in cui – lì sotto – Mustafà riassettava la sua «camera» da letto, si pettinava guardandosi negli specchietti retrovisori delle moto parcheggiate e si lavava alla fontanella di fronte. Ho cominciato così a osservarlo, per cercare di vincere con la ragione quel sentimento di diffidenza che istintivamente mi aveva preso. Tutto il suo sistema energetico funzionava secondo natura, in più aveva imparato a usare gli scarti della società dei consumi e della sua tecnologia in maniera estremamente efficiente. La selezione e il recupero dei rifiuti erano il cardine del sistema, e non solo per le calorie da recuperare (per mangiare c’è sempre la Caritas). I cartoni non erano certo il materiale migliore quando pioveva, così li riservava alle giornate d’estate, quando comunque isolano dalle pietre di basalto fredde e umide di cui è composto il marciapiede. Durante le notti di pioggia un telo di plastica rigida faceva da strato inferiore sottostante il materasso, al di sopra del quale c’erano lui, le coperte che aveva rimediato e ancora una plastica più sottile a coprire il tutto, come in una piccola tenda al cui interno il calore del corpo non si disperdeva e permetteva di superare indenni anche qualche grado sotto zero. Pur non potendolo sapere, Mustafà sfruttava la proprietà che ha il nostro corpo di emettere radiazioni infrarosse, come sanno bene quegli alpinisti che passano notti in quota avvolti in un sottile fazzoletto di plastica metallizzata retroriflettente. Non l’ho mai sentito tossire né starnutire.

Sopravvivere al limite

Ho chiesto a Mustafà da dove venisse, così lui mi ha raccontato del Marocco, ma non quello delle città imperiali, piuttosto quello dell’Atlante e dell’interno o quello del deserto del Sahara occidentale. In molte regioni del subcontinente sahariano le case trogloditiche sono esempi perfetti di quello che, per millenni, gli umani che si trovano in condizioni limite hanno ideato e fatto per sopravvivere.
A Matmata, in Tunisia (nella foto in alto), come a Gharyan, in Libia, in Marocco come in Egitto, prima di tutto ci si nasconde sotto terra, dove non arrivano gli effetti torridi del ghibli – che può far salire le temperature fino a 50°C – e si rimane al fresco. Le case sono scavate nella sabbia e proteggono anche dal freddo vento invernale e dalle micidiali escursioni termiche (la temperatura di notte scende spesso sotto lo zero), in tutti i casi senza sfruttare alcuna forma di riscaldamento oltre al calore dei corpi. E delle cucine: a Ghadames – in una delle ultime oasi prima dell’immensità del deserto libico – ho pranzato in un’abitazione di tipo berbero che aveva le cucine disposte al piano superiore, collegate attraverso alcuni fori direttamente con l’esterno. In questo modo i vapori caldi uscivano con facilità (l’aria calda è meno densa e sfugge verso l’esterno) e il piano abitato sottostante restava più fresco, mentre d’inverno bastava tappare parzialmente i fori per non disperdere il calore della cottura dei cibi.

Attorno al soggiorno centrale si aprivano gli altri ambienti, comprese le camere da letto, ma nessuno aveva finestre: la luce penetrava solo dai fori del piano delle cucine. Un sistema di specchi opportunamente disposti permetteva alla luce del sole di illuminare soddisfacentemente l’interno; lo stesso accadeva la notte ponendo poche candele in punti strategici e godendo della loro suggestiva luce riflessa. I bagni erano al piano più basso, visto che nelle case di terra non sono consentite tubature (che scioglierebbero la sabbia), e gli scarichi restavano sotto la casa, dove – mescolati con la cenere delle palme bruciate, quando c’era bisogno, nei camini o per cucinare – non puzzavano e potevano essere riutilizzati per fertilizzare l’oasi. Una comunità intera di migliaia di abitanti ha resistito per generazioni al caldo micidiale del deserto libico e alle clamorose escursioni termiche senza elettricità e usando razionalmente le risorse naturali. Mustafà è figlio di quelle società e istintivamente si muove in modo da conservare energia e da usare intelligentemente le poche risorse a disposizione, mescolando l’antica sapienza delle sue genti con gli scarti del nostro progresso.

Alla ricerca della sobrietà

Lo guardo dalla finestra e penso a casa mia, dove sono riuscito a mettere in piedi un vero festival dello spreco: almeno dieci spie di stand-by accese perennemente, telefoni portatili continuamente in ricarica e ancora ricariche di lettori di cd, mp3, iPod, di computer portatili, di auricolari blue-tooth, di batterie per tutti gli usi. Un delirio di consumi che avrei avuto difficoltà anche solo a immaginare neanche vent’anni fa. E questi sono gli aspetti più eclatanti. Quante lampadine a incandescenza ho dentro casa e quante compatte a fluorescenza ? Qual è la potenza del mio aspirapolvere o quella del phon? Perché dovrei avere bisogno di un telefono che funziona solo se è attaccato alla corrente? A osservarle bene le nostre case di occidentali ricchi sono un monumento al paradosso energetico e non direi neppure che sono veramente tecnologicamente avanzate. Anche per rispetto di Mustafà, oggi ho preso alcuni provvedimenti, nemmeno tanto drastici, nell’intento di dimostrare a me stesso (e un po’ agli altri) che le abitazioni si possono cambiare a partire da subito.

Prima ho cominciato a sostituire le lampadine che si fulminavano, poi le ho cambiate quasi tutte: ci ha rimesso un po’ il design (quelle compatte a fluorescenza sono orrende), ma la durata è sei volte maggiore e permettono una notevole riduzione dei consumi; costano un po’ di più, ma la spesa si ammortizza in pochissimo tempo. L’efficienza di queste lampadine è di circa 80 lumen/Watt, mentre quelle a incandescenza arrivano al massimo a 14. Poi ho collegato tutti gli apparecchi che sono predisposti alla stessa fruizione a un’unica ciabatta con interruttore che spengo quando so di non usarli per almeno un paio d’ore. Per esempio il gruppo televisore-videoregistratore-vhs-lettore dvd-decoder digitale terrestre e satellitare. Oppure il gruppo computer-scanner-stampante-monitor. Mi sono reso conto che non ho mai usato il rasoio elettrico né il phon, senza perdere poi troppo tempo né rischiare la cervicale; ho ridotto la potenza dell’aspirapolvere e in cortile ho installato una lampada a luce fredda che si ricarica attraverso un micropannello solare e può restare accesa anche tutta la notte. Infine ho ridato indietro il blue-tooth, che tanto l’auricolare a filo basta, ripristinato il telefono a filo e mi ricordo sempre di spegnere la luce.
Dubito che Mustafà se ne sia accorto, ma io mi sento comunque un po’ più vicino a lui che non credo giudicherebbe neanche tanto efficiente quel mio microcosmo ordinato e pulito, ma sprecone oltre ogni misura».

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Pasqua di Risurrezione

scritto da il 23 marzo 2008

“La risurrezione è un evento che supera ogni aspettativa, anche la più audace… Se Gesù di Nazareth non fosse risorto, non servirebbe a nulla credere in lui, scommettere la vita sulla sua parola. I suoi miracoli, le sue parole di perdono, la sua lotta per la verità e la giustizia, sarebbero solo fatti del passato” (Vi ho chiamato amici, p. 68).

BUONA PASQUA!

(immagine tratta da www.elledici.org)

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8 marzo 2008

scritto da il 8 marzo 2008

Recita così un proverbio africano, sentito raccontare da una professoressa dell’università di Makerere a Kampala: “In Africa se educhi un bimbo educhi un uomo, se educhi una bimba educhi una nazione” (tratto da “Africa, pianeta delle donne” di G. Albanese sul Messaggero di Sant’Antonio, marzo 2008).

Buon 8 marzo a tutte le donne!

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Carnevale 2008, gran finale!

scritto da il 6 febbraio 2008

Ieri sera sentivo qualcuno dire che quello di quest’anno era il miglior Generale che avesse mai visto. Sinceramente non saprei, sicuramente sia la Mugnaia che il Generale erano emozionatissimi!Pieni di quell’emozione che solo chi ama il Carnevale può provare. Magari non saranno i migliori in assoluto, sicuramente rimarranno nella memoria e nel cuore di chi ama il Carnevale!

“A brusa, a brusa!”

Arvedze a giobia a’n bot!

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tiro bagnato e bande in piazza

scritto da il 5 febbraio 2008

Non è facile tirare in piazza quando piove! Freddo e pioggia hanno condito il lunedì pomeriggio. Però che divertimento! Poca gente in piazza fin dall’inizio e, con il passare del tempo e la casacca sempre più bagnata, sempre in meno…ma sui carri il numero non cambiava! E così si è tirato ancora di più e, soprattutto, ci si è divertiti molto di più!

Oggi però sembra esserci il sole e così si chiuderà con bel ricordo di piazza Ottinetti illuminata!

In serata la pioggia/neve ha smesso di scendere e così le bande hanno potuto sfilare senza ombrelli! Un bel lunedì sera, non troppo affollato probabilmente per il freddo. Un po’ caotico, con le guide del consorzio che sembravano voler far correre i 100 metri alle bande loro “affidate”.

I migliori? Pifferi e Tamburi!

Mi è permesso? Ma quelli del consorzio si sono accorti che dietro ai Pifferi e Tamburi (a costo zero) c’era più di gente che dietro tutte le altre bande (completamente spesate, viaggio, vitto e alloggio)?!
E si sono accorti che continuando a far girare le bande come trottole le hanno ridotte a mero spettacolo visivo, mortificandone la musica?!

No, non se ne saranno accorti perchè troppo impegnati a lodarsi. Perchè, in fin dei conti, è davvero bello il lunedì sera di Carnevale a Ivrea!

Carnevale d’Ivrea 2008 online

scritto da il 4 febbraio 2008

Aspettando il secondo pomeriggio di tiro, mi faccio un giretto tra blog e notizie online. E scopro con piacere tanti riferimenti al Carnevale d’Ivrea.

Grazie alla segnalazione di Vittorio Pasteris, scopro una miriade di foto su Flickr con soggetto Ivrea, quasi tutte dedicate al Carnevale 2008.

LaStampa.it racconta di circa 4000 aranceri a piedi, poco più di un centinaio di feriti e la manifestazione un po’ sottotono causa l’accoppiata “maltempo & tiket”. Una lettura abbastanza corretta, assolutamente distante da quella fintamente perbenista del Tg2 di ieri sera, che metteva l’accento sui feriti e riduceva gli aranceri a piedi a poche centinaia, sottinteso di pazzi scatenati e quindi un po’ comunisti…

Da Flickr risalgo al blog di Andrea che boccia la sfilata di sabato sera (io mi chiedevo se si può ancora chiamarla sfilata), ma soprattutto racconta un bella stronzata di un giornaletto e di una radio neanche troppo piccola, che hanno divulgato il nome della Mugnaia già nell’edizione di sabato: VERGOGNA!

Stasera ci dovrebbe essere la sfilata delle bande…speriamo che il tempo sia clemente!

Dopo aver scritto il post qui sotto, l’ho segnalato alla redazione di www.extratorino.it. Un’oretta dopo mi arrivava il riscontro dell’autore:

«Caro Massimo Sozzi,
Ho letto ora la tua mail e anche il contenuto del tuo blog, e devo dirti che l’ho trovato molto “delicato�? e simpatico nel correggere le mie imprecisioni. Imprecisioni che però vengono da un’esperienza diretta (di qualche anno fa) al Carnevale di Ivrea: quello che ho scritto sono le impressioni su una giornata splendida passata a tirare (e ricevere) arence, oltre a qualche informazione di servizio.

A questo punto, ti propongo una cosa: aggiorno l’articolo aggiungendoci due righe sulle reazioni ottenute e linko il tuo blog in modo che i lettori di extra possano avere del carnevale una visione più… precisa
(ovviamente se non ti va avvertimi che rimetto tutto com’era prima)

E grazie delle correzioni, non hai urtato nessuno, anzi!

Un saluto

Daniele Silva»

Certo che accetto la proposta!

Così, se adesso andate alla pagina dell’articolo, trovate le precisazioni, un link al mio blog e un bel augurio di Buon Carnevale come anch’io avevo proposto alla fine del post.

A me non resta altro da fare che ringraziare Daniele Silva e tutta la redazione di torinoextra.it, facendo i complimenti per la capacità di informare, ascoltando pazientemente anche chi è un pò pignolo!

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leggende sul Carnevale di Ivrea

scritto da il 1 febbraio 2008

Che bello! Sulla newsletter di www.extratorino.it propongono per il weekend, «una una domenica tra gli aranceri del carnevale di Ivrea (attenzione alle arance vaganti)» offrendo «la guida di extratorino alla spietata battaglia delle arance (e al carnevale più divertente)». Beh, “spietata battaglia” e “carnevale più divertente” è un connubio che mi piace. Ci siamo persi lo “storico”, ma probabilmente lo troveremo nell’articolo. Leggiamo….

Ma il Signor Daniele Silva (autore dell’articolo), dove ha trovato queste informazioni?! Perchè ci sono un po’ troppi errori!

L’intento è buono, ma bisogna sistemare un po’ di informazioni qua e là. Cominciamo:

Molte cose non si conoscono di Ivrea. La prima, anche se un po’ trita e ritrita, è che i suoi abitanti si chiamano eporediesi: (…) La seconda è che a carnevale si prendono ad aranciate: non si tirano le lattine, ma si tirano le arance, quelle tonde e tendenzialmente anche non troppo mature, chè fanno più male.

Le arance sono comprate in cassette impilate su bancali. Possono essercene di meno mature ma anche di quasi marce.

Anche la Battaglia delle arance non è tutto ‘sto scoop, ma forse ciò che non potete immaginare – se non ci siete mai stati – è che come tutte le manifestazioni popolari del genere, la cosa viene presa dagli eporediesi molto seriamente.

Questo è molto corretto, anche perchè si sta parlando dello “Storico Carnevale d’Ivrea”!

Tanto seriamente che per (…) stare sui carri, dai quali si possono lanciare arance sul pubblico da una posizione privilegiata, si pagano dei soldi. E, soprattutto, che lanciarsi le arance non è uno scherzo: bisogna farsi male.

Bisogna…non è scritto esattamente nel regolamento.

(…) Il clou, se volete partecipare alla battaglia, è domenica 3 febbraio.

Non solo, ma anche lunedì 4 e martedì 5.

(…) I carri allegorici (divisi in squadre) passano per le vie della città, zeppi di “tiratoriâ€?? bardati (è tutto vero) che lanciano arance verso il basso, dove c’è la folla. Voi (che presumibilmente sarete la folla) dovete armarvi di arance e tirarle verso i carri, senza pietà: alla fine del carnevale il carro più “combattivoâ€?? vincerà la gara. Più gliene tirate, più saranno contenti.

Aiuto! Facciamo ordine: i carri, divisi in pariglie e quadriglie in base al numero dei cavalli, sono entità singole, solo pochissimi solo legati alle squadre, che sono invece quelle formate dagli aranceri a piedi. I carri sono dipinti ancora a mano e particolarmente curate sono le finiture dei cavalli, sono belli da vedere e simboleggiano le armate del tiranno, ma definirli “allegorici” può far confondere con Viareggio. I carri tirano le arance verso il basso, ma non verso la folla che è venuta ad assistere! Le arance si tirano nelle piazze, dove ci sono le squadre degli aranceri a piedi. I quali hanno anche loro pagato per comprare le arance e tirare, e non sono per niente contenti che i lettori di extratorino vengano ad armarsi con le loro arance!
Le “folla”, piuttosto, è chiamato a vestire il berretto frigio a partire dal giovedì.

Oltre alla battaglia c’è tutta una rappresentazione allegorica, che comincia sabato alle 21 (…) Per informazioni sugli eventi collaterali e su come arrivare e dove parcheggiare, www.carnevale-diivrea.it.

La rappresentazione STORICA inizia sempre il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, e si compone di tanti momenti e giornate che portano all’uscita della Mugnaia del sabato sera.
Il link al sito è corretto, mentre è sbagliato il trattino nel testo. Se volete poi approfondire, non dimenticate il sito www.carnevalediivrea.com.

Chissà se gli amici di extratorino.it, di cui consiglio la newsletter perchè è sempre molto interessante, mi leggeranno? Spero di si e spero che capiscano le mie puntualizzazioni. In fin dei conti lo ha scritto anche Daniele Silva:«la cosa viene presa dagli eporediesi molto seriamente».

E Buon Carnevale a Tutti!

Sandro Pertini, 31 dicembre 1979

scritto da il 1 gennaio 2008

Non sapevo come fare gli auguri di Buon Anno a chi passava di qua. Poi ho letto questo post di Verdespirito e ho pensato che non c’era modo migliore!

Il 31 dicembre 1979, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini rivolgeva questo messaggio di Auguri agli italiani. Io ne riporto qualche pezzo, è un po’ lunghetto ma di un’attualità disarmante. Terrificante pensare che quasi trent’anni sono passati eppure sarebbe ancora oggi valido. Peccato che non ci sia qualcuno in grado di pronunciarlo…

Buon 2008 a tutti!

«Miei cari amici, 

Eccomi qui per la seconda volta a rivolgervi i miei auguri per l’anno che sta per sorgere. Ve li rivolgo senza nessuna formalità, fuori da ogni norma protocollare, il protocollo, lo sanno i miei collaboratori, mi dà sempre fastidio, come fossi seduto alla vostra tavola, alzare con voi il bicchiere, bere alla vostra salute, alla salute del popolo italiano. E anche alla mia salute. 

Il mio pensiero corre in modo particolare in questo momento agli italiani che sono stati costretti a lasciare l’Italia per andare all’estero a trovare lavoro. E’ un’esperienza che io ho conosciuto nella mia lontana giovinezza. Ed io so che questi italiani sentono in questi giorni un desiderio, una nostalgia struggente del loro paese, dei loro parenti e dei loro amici. 

Io vi rivolgo questi auguri con un ánimo preoccupato, ma anche nel mio animo vi sono delle speranze. Sono preoccupato soprattutto per la disoccupazione che vi è nel nostro paese, e per la disoccupazione in modo particolare giovanile. La disoccupazione giovanile è un campo fertile, amici miei, per la droga e per il terrorismo. 

Per la droga. Io lo so perchè ne ho avvicinati di questi giovani, giovani che si sentono, perchè senza lavoro, emarginati, depressi, demoralizzati, mal consigliati. Varcano la soglia dei cosiddetti “paradisi artificiali”, che, poi, invece è un inferno che porta alla rovina. E pensano in questo modo di poter trovare un’evasione, ed invece trovano la loro rovina personale. 

Bene, vedete, io mi rivolgo agli anziani, ai genitori, agli educatori, talvolta basta una parola di comprensione verso questi giovani depressi, basta una conversazione fatta con loro amichevolmente per evitare che essi possano varcare la soglia della droga e, quindì,della perdizione. Sta a voi genitori ed educatori, stare vicino a questi giovani per salvarli dalla loro rovina. 

Ho detto che è anche un terreno fertile per il terrorismo. Risulta da informazioni che molti giovani disoccupati che, pur di guadagnare qualche migliaio di lire,  finiscono per diventare dei cooperatori, dei collaboratori dei terroristi. E quindi anche questa è un’altra strada che per i giovani significa la loro perdizione. 

(…) Ma noi dobbiamo pensare a queste forze dell’ordine (…). Devono essere anche forniti di mezzi moderni, attrezzata meglio, devono essere aumentati gli effettivi, perchè non è più ammissibile che costoro facciano dei servizi defatiganti tali da rendere loro impossibile, poi, di lavorare, di sorvegliare come dovrebbero sorvegliare. 

(…) Ma io mi vado chiedendo, amici miei, come mai proprio in Italia si è scatenato questo terrorismo? Si erano già verificati atti di terrorismo in Francia e in Germania, ma ormai il terrorismo è spento in quelle nazioni. Come mai invece si è scatenato qui in Italia, e continua in Italia? 

Io ho fatto delle mie considerazioni, che possono essere anche infondate, le sottopongo al vostro esame. L’Italia, vedete, è un ponte che unisce l’Europa all’Africa e al Medio Oriente. Quindi un ponte, da un punto di vista strategico, molto importante. Orbene, se per dannata ipotesi i terroristi dovessero destabilizzare il sistema democratico nel nostro paese, sarebbe un grave danno per noi, ma sarebbe un danno anche per tutta l’Europa e per la pace nel mondo. A mio avviso, qui posso anche sbagliarmi, è un’ipotesi mia personale, e ve la offro come tale, la centrale del terrorismo non è in Italia, è all’estero. 

(…) Dietro ogni articolo della carta costituzionale, amici che mi ascoltate, stanno centinaia di giovani morti nella resistenza, quindi la repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi. Ma dobbiamo difenderla anche dalla corruzione. La corruzione è una nemica della repubblica. E i corrotti devono essere colpiti senza nessuna attenuante, senza nessuna pietà. E dare la solidarietà, per ragioni di amicizia o di partito, significa diventare complici di questi corrotti. E l’esempio, soprattutto, in questo deve darlo la classe dirigente, ed in primo luogo, naturalmente, chi vi parla in questo momento. 

(…) Io credo nella nostra gioventù, a differenza di molti anziani che in questo momento mi ascoltano. La stragrande maggioranza della nostra gioventu’ è politicamente e moralmente sana. Vedete, amici miei, io ho instaurato al quirinale lo stesso metodo che avevo instaurato alla camera dei deputati quando ne ero presidente. Cioè io ricevo qui al quirinale scolaresche; giovani ne ho già ricevuti – in questi mesi e in questi anni che sono qui alla presidenza della repubblica – diciotto mila studenti, di tutte le classi e di tutte le regioni. 

Ebbene da questi giovani io mi sono sempre sentito e mi sento porre delle domande molto serie. Non faccio loro dei discorsi, intreccio con loro una conversazione, un dialogo, come fossimo antichi amici, e ci riesco sempre. Ed allora ecco perchè io mi sono persuaso che la nostra gioventù è molto sana. E’ vero sono giovani, non possono avere la mentalità degli anziani, ed è un errore grave che compiono gli anziani, siano essi genitori o educatori, di voler imporre ai giovani la loro mentalità di anziani. E quindi scavano un solco fra essi e i giovani. Io valico questo solco e vado incontro ai giovani comprendendo la loro mentalità di giovani, che è stata la mia mentalità quando giovane ero come loro.  

E mi avvicino a loro senza alcuna presunzione, senza alcuna arroganza, come fossi un loro amico da tanto tempo. E dico ai giovani questo: giovani, vedete,voi avete le vostre speranze, le vostre visioni, voi avete un animo puro, noi invece abbiamo la nostra esperienza. E dovete credermi, giovani, se io vi dico che questa nostra esperienza è tessuta di molti sacrifici e di molte rinunce. Abbiamo pagato anche per voi giovani, perchè voi foste veramente liberi. 

Bene, io vi dico: camminiamo di conserva, fianco a fianco, camminiamo insieme, voi con le vostre visioni, noi con la nostra esperienza. Cerchiamo di camminare insieme sul sentiero della vita. E finchè, vedete, un alito di vita mi animerà, io sarò al vostro fianco, giovani che mi ascoltate, per aiutarvi a rimuovere dal vostro cammino gli ostacoli che incontrerete, onde voi possiate percorrerlo con passo fermo e sicuro. 

(…) Giovani, se voi volete vivere la vostra vita degnamente, fieramente, nella buona e nella cattiva sorte, fate che la vostra vita sia illuminata dalla luce di una nobile idea. Scegliete voi, liberamente, senza lasciarvi suggestionare da qualcuno. Fate voi la vostra scelta, purchè questo presupponga, però, il principio di libertà, altrimenti dovrete respingerla, per la vostra salvezza. 

Oh, è vero, giovani, le dittature si presentano apparentemente più ordinate, nessun clamore si leva da esse. Ma è l’ordine delle galere e il silenzio dei cimiteri. 

Vedete, giovani, io alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie. Fate quindi la vostra scelta, e sia una scelta
di libertà, giovani che mi ascoltate. 

Ebbene, è con questo animo che io mi rivolgo ai nostri giovani, perchè in loro credo. E se non credessi, oh anziani che mi ascoltate, genitori ed educatori, se io non credessi nella nostra gioventù, dovrei disperare dell’avvenire della patria, perchè non lo rappresentiamo più noi questo avvenire, lo rappresentano i giovani che mi ascoltano. E quindi io penso al loro domani. E vorrei che fosse un domani di tranquillità e di serenità per la nostra gioventù. 

Eppure questo domani, non dobbiamo nasconderlo, è minacciato da pericoli di guerra. Sì, si vanno oggi tessendo trattati, si vanno stabilendo, si dice, degli equilibri fra le due grandi potenze sulle armi, per quanto riguarda le armi nucleari. Ma gli equilibri,  lo sta a dimostrare la storia, non sono mai stati duraturi. Basta un atto di follia di qualcuno, basta un errore di calcolo, che questi equilibri finiscono per crollare. 

Ebbene, se questo avvenisse, come io temo possa avvenire, perchè la pace è molto fragile, e gli ultimi avvenimenti internazionali stanno a provare il fondamento di questa mia affermazione, la pace è molto fragile. E se per dannata ipotesi la guerra dovesse esplodere sarebbe la fine dell’umanità intera, del nostro pianeta.

Se i popoli della terra, coralmente, potessero esprimersi, al di sopra di ogni differenza ideologica, politica, di ogni razza, al di sopra di ogni credo, e di ogni differenza di credo religioso, tutti i popoli della terra si pronuncerebbero per la pace contro la guerra. 

Orbene, chi rappresenta questi popoli, chi detiene nelle loro mani i destini di questi popoli, deve raccogliere questa loro volontà e fare in modo che la pace veramente sia duratura. Si spendono miliardi per costruire ordigni di guerra, che se per dannata ipotesi, ripeto, fossero usati sarebbe la fine dell’umanità intera del nostro pianeta. 

E mentre si spendono miliardi per costruire ordigni di morte,vi sono migliaia e migliaia di creature umane che nel mondo stanno morendo di fame. Nel 1979, amici che mi ascoltate, sono morti nel mondo 18 milioni di bambini per denutrizione. 

Questa strage di innocenti pesa come una severa condanna sulla coscienza degli uomini di stato e, quindi, anche sulla mia coscienza. 

Io ripeto qui quello che vi ho detto l’anno scorso facendovi il mio saluto augurale: si svuotino gli arsenali, si colmino i granai. 

Con questo auspicio io formulo per voi, cari amici, i piu’ fervidi auguri. Non dobbiamo disperare. Vedrete che riusciremo ad uscire da questo tunnel della violenza, della disoccupazione, della recessione economica perchè io credo nel popolo italiano. (…)

Dunque vedete che sono gli stranieri ad apprezzarci. Talvolta noi, ripeto, ci disistimiamo. Io ho quindi ragione di credere nel popolo italiano, un popolo che ha saputo superare situazioni ben più difficili di questa. E saprà superare anche questa situazione. 

Ed allora è al popolo italiano che io mi rivolgo in questo momento. E mi rivolgo esprimendo la mia ammirazione, la mia riconoscenza e l’augurio più fervido. Vedrete che ce la faremo, amici miei, ad uscire da questa situazione. 

Ce la faremo, state certi. 

Buon anno amici miei».

gli auguri di Natale

scritto da il 28 dicembre 2007

Quest’anno ho latitato nel fare gli auguri di Natale. Pochi, pochissimi, quasi nessuno, trascurando anche persone care. Che per fortuna però non si sono dimenticate ma hanno rallegrato il giorno di Santo Stefano…grazie ancora Ema!!!

Ne ho fatti pochi perchè la sfilza di sms, sparati come una mitragliatrice con i colpi tutti uguali, non ha senso. Non l’ho mai fatta e non avrei voluto iniziare quest’anno. Ne ho fatti pochi perchè non mi veniva altro da scrivere che “Buon Natale”, ma poi uno avrebbe pensato che ero sfaticato. Ne ho fatti pochi perchè mi andava così.

Ne ho fatti pochi perchè invece ne ho fatti tanti a tutte le persone che mi hanno aiutato a preparare il Natale più materiale. Li ho, anzi li abbiamo (io e Fede) fatti alle cassiere e ai commessi dei centri commerciali. Li abbiamo fatti alle nostre bariste e pasticcere preferite. E tutti ci hanno guardati piacevolmente stupiti, come se fossimo gli unici a farglieli. In tanti ci hanno sorriso e tutti ci hanno ringraziato contraccambiando.

Il prossimo anno tornerò agli sms, per quest’anno sono contento di averli fatti a voce.

prepararsi al Natale

scritto da il 27 dicembre 2007

Una decina di giorni fa, è andato in onda un servizio, al tg regionale piemontese, sugli spacci aziendali del biellese. Nessun losco affare ma si parlava della vendita diretta in fabbrica. Quello che mi aveva colpito era una signora, di origini probabilmente rumene, a cui avevano fatto alcune domande sul perchè stesse acquistando e se i prezzi erano buoni.

La signora, in italiano sufficientemente buono e con grande ottimismo, aveva risposto che: “almeno per Natale ci si può comprare qualcosa di bello da indossare”.

Questa risposta mi ha continuato a frullare in testa. Suscitando due riflessioni.

La prima, immediata, è stata di carattere socio-economico: la signora ragiona come gli italiani di qualche decennio addietro, c’è una festa in arrivo e perciò acquisto qualcosa di nuovo. C’è l’occasione, c’è il momento atteso che funge da scusa per spendere un po’ di più. E l’economia si nutre di tanti piccoli acquisti. Oggi gli italiani aspettano i saldi e non danno più soddisfazioni ai commercianti. Ma i commercianti fanno i saldi al 70-80 a volte 90%, togliendo valore intrinseco ai prodotti e, soprattutto, facendo sentire fregati chi ancora compra a prezzo pieno.

La seconda è arrivata dopo un po’ più di tempo: la signora è tra le poche rimaste che dedicava del tempo a prepararsi al Natale. Pensando al vestito ma, forse, anche al pranzo, ai doni e al Bambino che sarebbe nato. Forse… Sicuramente si stava preparando, per tempo, in anticipo, ed è una cosa che non sappiamo più fare. Arrivando invece agli ultimi minuti a intasare le strade di auto e intasare i nostri cuori di odio verso chi è in ritardo…come noi.

Perchè scrivo tutto ciò solo adesso? Perchè ero anch’io in ritardo.

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Buon Natale!

scritto da il 25 dicembre 2007

Buon Natale!

(immagine tratta da www.orvietosi.it)

11 novembre: San Martino di Tours

scritto da il 11 novembre 2007

Nei miei ricordi delle elementari c’è anche la mia maestra che ci racconta la storia di San Martino, cavaliere che scende da cavallo e taglia con la spada il suo mantello, per dividerlo con un povero. Se prendete i vecchi testi scolastici non manca mai nelle pagine da leggere in novembre il racconto dell’estate di San Martino, con un caldo sole che splende simbolico a scaldare il cuore di chi ha fatto del bene. O forse non tanto simbolico, come il sole che sta rallegrando questa domenica!

Oggi a raccontare una “favola” così si rischia la denuncia. Peccato! Perchè San Martino ha ancora molto da insegnare a tutti, cristiani e non.

san Martino di Tours, vescovo (316c. – 397) (foto e notizie tratte da www.santantonio.org)

Martino, poco più che quindicenne, cavalcava, fiero della rutilante divisa di guardia imperiale, con il rosso mantello che il vento scompigliava. All’improvviso sul ciglio della strada apparve un poveraccio malvestito e tremante di freddo. A quella vista, il giovane cavaliere si fermò impietosito e, sguainata la spada, tagliò il proprio mantello in due e ne diede metà al povero. Quella notte a Martino apparve in sogno Gesù che lo ringraziava della cortesia usatagli. La leggenda racconta che a quel gesto di carità seguì un insolito mitigarsi del clima, che si perpetuò nel tempo diventando «l´estate di san Martino».

Martino era nato a Sabaria nel 316 circa, dove suo padre comandava una guarnigione posta a difesa dell’impero ai confini con l’Ungheria. Seguendo il padre, aveva trascorse la fanciullezza a Pavia, dove era venuto in contatto con il cristianesimo rimanendone affascinato. Martino chiese allora e ottenne di essere accolto nel catecumenato. A quindici anni dovette, suo malgrado, intraprendere la carriera militare nella guarnigione di Amiens. È in questo periodo che va collocato l´episodio del mantello.

Ad Amiens, nella Pasqua del 334 (a diciassette anni), Martino ricevette il battesimo. Successivamente partecipò alla campagna sul Reno con l´imperatore Costanzo, al termine della quale gli fu concesso il congedo. Libero dagli obblighi militari, si ritirò per un breve periodo a vita eremitica sull’isola di Gallinaria, sulla costa ligure e poi a Poitiers, dove il vescovo Ilario lo ordinò sacerdote offrendogli una villa a Ligugé, che egli trasformò in monastero, pensando di trascorrervi la vita in solitudine e in preghiera. Ma nel 371 morì il santo vescovo Ilario, e la città di Tours non trovò nessuno meglio di lui che potesse succedergli. E così Martino, soldato per forza, monaco per elezione, dovette fare il vescovo per dovere.

Fu un eccellente pastore. Grande evangelizzatore, convertì alla religione cristiana le tribù barbare dei galli, pacificò ariani ed eretici, resistette contro il potere civile che voleva intromettersi nelle gestioni della chiesa.

Non dimenticò neppure la vita monastica, il suo primo amore. Dopo il monastero di Ligugé, il più antico d´Europa, Martino ne fondò un altro a Marmoutier, a pochi chilometri da Tours, che divenne il primo centro di vita monastica in Francia. Morì a Candes l’8 novembre 397, fu proclamato patrono di quella nazione.

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una festa da 110!

scritto da il 24 luglio 2007

Ebbene sì, c’è anche chi riesce a finire e a finire con il massimo dei voti! E allora…FESTA!!!

Sabato sera l’appuntamento non si poteva mancare. Immersi nella collina torinese tra piscina, musica dal vivo e tanta voglia di festeggiare. Mentre alle tre splendide Dottoresse non rimane che dire: “Congratulazioni Betta, Claudia e Francesca!”

Ma vi ricordate ancora quando si andava tutti insieme a mangiare ai Giardini Reali?!