un francobollo per l’Olivetti

Scritto da il 12 febbraio 2008

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Sono passati 100 anni da quando l’Ingegner Camillo Olivetti fondò la prima fabbrica italiana di macchine da scrivere.

Per commemorare l’evento, oggi è stato emesso un francobollo commemorativo. Il francobollo raffigura una delle prime macchine per scrivere della Olivetti e sullo sfondo la prima fabbrica, quella di mattoni rossi.

Un francobollo per i 100 anni, per festeggiare una Storia che, purtroppo, non c’è più…

Volete veramente capire cos’è stata l’Olivetti? Cercate la prima data dei due spettacoli di Laura Curino, centrati su Camillo e Adriano.

«Per me, d’estate, c’erano le colonie Fiat, praticamente il carcere. Nelle lunghe ore passate in cella o nelle ore d’aria, tra noi bambini circolavano leggende. Fra quelle ve n’era una che raccontava dell’esistenza, vicino a noi, del Paradiso. Una colonia dove i bambini erano ben vestiti, avevano una “signorina” ogni sei o sette, invece che ogni trenta bambini, una signorina che non piangeva tutto il giorno, anzi era contenta di stare lì. I bambini mangiavano bene in tavolate piccole, potevano fare il bagno senza fischietti, potevano scrivere lettere che non sarebbero state lette prima di essere spedite, potevano…leggere! Non si poteva leggere alle colonie Fiat. Non si poteva neppure scrivere e chi teneva un diario doveva farlo di nascosto e ingegnarsi a trovare un posto dove celarlo, visto che non avevamo la chiave del nostro sportello, nel quale comunque entrava a malapena il necessario per lavarsi. Là, in Paradiso, si diceva che i bambini avessero un armadietto. Con la chiave. Quel paradiso era la Colonia Olivetti.

(…) Ivrea è oggi un Paradiso perduto. Finiti i tempi in cui si poteva incontrare Lana Turner al caffè, e Doris e Constance Dowling, che fece perdere il cuore e la vita a Pavese.
I problemi di occupazione hanno incupito il volto della città che è stata la culla di un sogno urbanistico, industriale, culturale, civile, unico in tutta l’Europa. L’alluvione le ha anche smangiato a forza le rive della non più così cerulea Dora.
Il ricordo di quello che la città era stata era come rimosso, dimenticato.

E del resto la dimenticanza sembrava caduta in tutta Italia: chi parlava più di fabbriche belle, di città a misura d’uomo, di rispetto del territorio, di tecnologia al servizio del benessere? Chi si ricordava di un luogo dove pittori, artisti, poeti dirigevano un’azienda?
Chi citava più un uomo, Adriano Olivetti, che aveva chiamato Le Corbusier per creare le case per gli operai, che costruiva fabbriche fra gli alberi, che aveva inventato l’urbanistica, il design, la psicologia del lavoro?
Dov’era la sua casa editrice, che dopo la guerra pubblicò i testi di filosofia, psicologia, sociologia, architettura, fino ad allora proibiti dal fascismo?
Chi aveva inventato la fabbrica che diventò la dimostrazione vivente, sana, solida e redditizia del fatto che il lavoro in fabbrica può non essere sinonimo di alienazione, inquinamento, malattia?
Il mio lavoro su Olivetti è un tentativo di rispondere a queste domande, sollecitare la memoria, ma anche rinnovare le leggende che si raccontavano quei bambini prigionieri dell’altro modello di fabbrica, nelle lunghe giornate passate in colonia.

(…) E’ il racconto epico di un’avventura, e in quanto tale avvincente, pieno di colpi di scena, di prove da superare, di lotte, di amori, di eroi.
La cosa più straordinaria è che è tutto vero.

Laura Curino»

(immagine tratta da www.ibolli.it)

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